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Comunicato Stampa PREMIO FREGENE 2013

   Sabato 29 giugno, alle ore 21, presso l’Arena Fellini, Lungomare di Levante 50, Fregene, si è svolta la cerimonia di premiazione della 35a edizione del Premio Fregene con l'adesione del Presidente della Repubblica

La Giuria ha consegnato i riconoscimenti ai seguenti vincitori:

Saggistica:

LAURA BOLDRINI

“Solo le montagne non si incontrano mai” - Rizzoli

 

Letteratura – Opera complessiva:

ANDREA CAMILLERI

 

Narrativa:

SERENA DANDINI

“Ferite a morte” – Rizzoli

 

Giornalismo:

ENRICO MENTANA

La Manifestazione, che si è svolta con l’adesione del Presidente della Repubblica, e con il finanziamento della Regione Lazio ha i seguenti patrocini: Presidenza del Consiglio dei Ministri; Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria della PCM; Ministero degli Affari Esteri; Ministero per i Beni e le Attività Culturali; Consiglio Nazionale delle Ricerche; Presidenza della Regione Lazio; Presidenza della Provincia di Roma; Comune di Fiumicino.

 

 

 

La Giuria è composta da

Francesca Alliata Bronner, Marco Antonellis, Fabrizio Battistelli, Paola Cacianti, Marcello Ciccaglioni, Laura Delli Colli, Gianpiero Gamaleri, Luciano Onder, Marina Pallotta, Maria Rita Parsi, Daniela Tagliafico, Marcia Theophilo. Giurati onorari: Angelo Consalvo e Rossana Montesperelli Pallotta.

 

Le Interviste

hanno condotto le interviste ai Premiati:

Paola Cacianti, Marina Pallotta, Daniela Tagliafico, Cinzia Tani.

Suonerà il violoncellista Fabio Cavaggion

Margot Sikabonyi ha letto alcuni monologhi tratti dal libro “Ferite a Morte” di Serena Dandini

 

Le motivazioni ai Premi

LAURA BOLDRINI “Solo le montagne non si incontrano mai” (Rizzoli), Saggistica

Premiare “Solo le montagne non si incontrano mai” (Rizzoli, 2013) è premiare anzitutto un impegno: quello che Laura Boldrini, nelle vesti di portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, il 9 giugno 2008, ospite a della trasmissione di Rai Tre Chi l’ha visto?, “si era presa con se stessa”. E che, a distanza di anni, prodigandosi con dedizione nella difesa dei diritti degli ultimi, “finalmente ha potuto portare a termine”. Sullo sfondo della guerra civile somala e del più grande campo profughi al mondo – quello di Dadaab che, nel nord-est del Kenya, ospita quasi cinquecentomila somali – si intreccia l’intensa e toccante storia di un padre, Mahad e di sua figlia Murayo che, per colpa del destino, si perdono ma che quattordici anni dopo si ritrovano. Premiare “Solo le montagne non si incontrano mai” è premiare un altro impegno ancora: quello dei mezzi di comunicazione di massa la cui straordinaria funzione di contatto sociale, se esercitata nel rispetto della tolleranza, della convivenza e della democrazia culturale, può creare e ristabilire ponti tra mondi diversi ma, alle volte, così uguali, rendendoli improvvisamente una cosa sola se solo si ha il coraggio di attraversare il ponte e di andare dall’altra parte. Premiare “Solo le montagne non si incontrano mai” è premiare l’esercizio della paternità a tutti i costi, di quella psicologica prima ancora che biologica. Da una parte c’è il padre putativo di Murayo che non se la sente di abbandonarla in un orfanotrofio a Mogadiscio e, così, decide di potarla con sé in Sicilia; dall’altra il padre naturale, Mahad, vittima, prima, di un incidente che gli impedisce di tornare all’ospedale militare italiano dove è ricoverata Murayo, vittima, poi, della sua condizione di rifugiato che non gli permette di lasciare il campo. Ma anche da lì, padre e figlia sono destinati a rincontrarsi. E se è vero che quando due mondi si sfiorano ed acquista senso esperienziale la loro relazione ne scaturiscono un terzo, un quarto, un quinto, “Solo le montagne non si incontrano mai” è anche la storia di due famiglie che si conoscono e si riconoscono l’una nell’altra e, insieme, la storia di quanti girano intorno alle vite dei protagonisti, in primis l’autrice il cui racconto autobiografico, tanto sul piano personale quanto su quello professionale, a tratti, si intreccia profondamente con “la storia di Murayo e dei suoi due padri”.

Maria Rita Parsi, Psicopedagogista, Psicoterapeuta, Docente universitaria, Scrittrice

 

ANDREA CAMILLERI – Letteratura, Opera complessiva

Andrea Camilleri racconta spesso di sentirsi un po’ come Georges Simenon con Maigret: entrambi sono “ricattati” dai loro personaggi. Eppure senza il commissario Montalbano lo scrittore di Porto Empedocle non sarebbe volato così in alto nelle classifiche dei libri più venduti e della popolarità che ha incontrato solo in età matura. Ha, infatti, quasi 70 anni Camilleri quando “inventa” quel poliziotto di Vigàta, personaggio subito amatissimo da milioni di lettori prima e telespettatori in seguito: è il 1994, esce La forma dell’acqua, il primo romanzo, e la sua vita cambia inesorabilmente. Pensava, sperava forse, di fermarsi a quel primo libro per poi dedicarsi ad altre stesure, ad altri soggetti, ma il clamoroso e inaspettato successo non glielo permette. Dopo La forma dell’acqua il fenomeno cresce, titoli come Il Birraio di Preston (1995), La concessione del telefono e la Mossa del Cavallo (1999), La prima indagine di Montalbano (2004) vendono milioni di copie con crescente successo mentre la serie televisiva su Montalbano con Luca Zingaretti ne fa un autore cult. Ma lui rimane se stesso, non si monta la testa, resta attaccato alla sua Sicilia. In tutta l’opera di Camilleri, infatti, batte il cuore della Sicilia, che sia Montalbano o il Re di Girgenti: la sua isola natìa, il luogo della radici e della memoria ma soprattutto lo spazio dell’invenzione narrativa. Più volte ha confidato che non saprebbe scrivere nulla che non sia ambientato in Sicilia. Straordinaria la sua capacità linguistica di farsi capire, da Palermo a Torino agli Stati Uniti, con quel pastiche di dialetti e lingue: un mix di italiano, spagnolo, siciliano, genovese, una sorta di “lingua mediterranea” che è poi la lingua dei pescatori siciliani. Con la sua opera ha creato un fenomeno letterario, una fedeltà di scrittura e di lettori che non ha mai tradito. Fra poco meno di due anni Camilleri festeggerà 90 anni (e 20 di Montalbano): il regalo che desidera, ha confidato, ma è il desiderio di tutti, è che continui a scrivere.

Francesca Alliata Bronner, Giornalista di “La Repubblica”

 

SERENA DANDINI – “Ferite a morte” (Rizzoli), Narrativa

Conduttrice, scrittrice e sceneggiatrice, Serena Dandini ha incarnato a lungo quella "comicità d'autore" che persiste coraggiosamente in alcune trincee della produzione televisiva di qualità, scampate alla demolizione mentale e morale dell'ultimo ventennio. Se fin dagli esordi della sua carriera in RAI Serena ha ideato e realizzato programmi radiofonici e televisivi capaci di tenere insieme humour, buon gusto e impegno culturale, con il volume "Ferite a morte" edito quest'anno da Rizzoli il tono si fa serio e l'impegno assurge a testimonianza civile. Testi nati come tessere di un mosaico teatrale - portato nelle piazze di varie città italiane da interpreti di eccezione, attrici e non - danno vita a un libro speciale. Innanzitutto perché il prodotto è un racconto unitario pur nella polifonia delle voci e nella compresenza di almeno due stili espressivi diversi. Nella prima parte quello narrativo, che è incalzante, sorprendente, coinvolgente. Nella seconda parte (con la collaborazione di Maura Misiti) quello saggistico, che è sobrio, razionale, documentato. L'uno e l'altro, comunque, con un tratto di fondo in comune: la durezza.   Non si tratta di un espediente letterario; è l'oggetto che è irrimediabilmente duro. Qui prende corpo la seconda specificità del libro. Ferite a morte" narra infatti le uccisioni di donne per mano di uomini. Le statistiche internazionali parlano chiaro: tra i 44.000 e i 66.000 casi all'anno, pari al 17% degli omicidi a livello mondiale, con picchi di 10 casi ogni 100.000 donne in El Salvador, Guatemala, Giamaica, Sudafrica. Per descrivere questo tragico fenomeno oggi esiste un termine: "femminicidio". La sociologa Diana Russell - lo definisce "l'assassinio di donne ad opera di uomini, perchè sono donne". A questa categoria appartengono i delitti “d'onore" nel Sud del mondo e i delitti “passionali" nel Nord. Non che "Ferite a morte" ignori le differenze individuali, anzi. Raccontando le storie dell'italiana Carmela, dell'americana Maggie, della giapponese Tomoko, dell'afghana Amina, il libro è sapiente nel delineare con tocchi precisi il contesto della vicenda, la personalità del carnefice, della vittima, dei testimoni, le cose stesse - gli ingredienti di un piatto, i vestiti indossati - che danno sapore e colore alla vita. Anche il linguaggio è un aiuto prezioso quando, come nella scena italiana, lascia cadere indizi dialettali molto vivi e molto veri, che immediatamente la situano a Napoli o nella pianura padana. Ritratti ricostruiti con l'immaginazione a partire da fatti rigorosamente veri. Descrizioni di eventi inquietanti offerte con empatia e tenerezza. Addirittura con un'impercettibile ironia, plausibile in un paradiso di persone che dall'alto osservano questo nostro mondo inutilmente crudele. Un contributo importante alla consapevolezza di un'emergenza sociale misconosciuta e, insieme, una prova letteraria affascinante che non allontana ma anzi avvicina il lettore.                                                

Fabrizio Battistelli, Ordinario di Sociologia, Direttore del Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche presso la“Sapienza”; Presidente di Archivio Disarmo.

 

ENRICO MENTANA - Giornalismo

“Mentana Enrico, giornalista italiano. Ha intrapreso la carriera giornalistica nel 1980, presso la redazione esteri della Rai; inviato del tg1 ha in seguito ricoperto la carica di vice direttore del tg2. Nel 1992 è passato a Canale 5, dove ha fondato il nuovo telegiornale tg5, di cui è stato direttore fino al 2004, anno in cui viene nominato direttore editoriale di Mediaset. Dal 2005 si è dedicato alla realizzazione e conduzione di Matrix, format di attualità e di approfondimento. Nel 2009 ha lasciato Mediaset e l’anno successivo è passato alla rete La7, di cui ha assunto la direzione e la conduzione del telegiornale”. Non è da tutti avere questo profilo sull’Enciclopedia Treccani. E’ uno dei tanti meriti di Enrico Mentana, che iniziò il mestiere facendo il correttore di bozze alla Gazzetta dello Sport, quando aveva 18 anni.   Di lui, il critico Aldo Grasso ha detto: ”E’ il più bravo. Nessuno come Mentana ha saputo interpretare il ruolo del conduttore: per ritmo, per senso della notizia, per autorevolezza”. Proprio il suo senso del ritmo, gli è valso il soprannome ”mitraglia”. Un soprannome che non rende merito alla sua grande capacità di far riflettere il pubblico, di condurlo per mano nella comprensione delle notizie, di calamitarlo nel cuore degli avvenimenti.      Il “suo” telegiornale de La7 è stata la vera, grande, rivoluzionaria novità del panorama informativo della tv. Mentre tutti i telegiornali erano concentrati sulla cronaca, Enrico Mentana ha deciso di occuparsi di politica, esattamente come, poco meno di venti anni prima, aveva puntato sulla cronaca, mentre gli altri notiziari consumavano le loro liturgie sulla base degli schemi partitocratici. Lui stesso ha spiegato così il successo della sua svolta: ”il nostro tg doveva dare le notizie che gli altri non davano, essere percepito come libero…“. Ma non è solo questione di contenuti. Il talento di Enrico Mentana è quello della “narrazione”. Il suo tg ha rotto gli schemi classici, iniziando, anziché con i titoli, con una sorta di prologo che a volte sconfina nell’editoriale, un’anticipazione che contiene in nuce il senso dei trenta minuti che seguiranno. In occasione di edizioni straordinarie del tg de La7, Mentana è stato capace di stare in diretta per ore, se non per intere giornate, senza cedimenti, con la stessa incisiva capacità di “bucare il video”. Il suo segreto? “non avere ansia” - ha rivelato. Altro che mitraglia!!!

Daniela Tagliafico, Giornalista, Direttore di Rai Quirinale dal 2006 al 2013



Ha suonato il violoncellista Fabio Cavaggion la cui storia abbiamo conosciuto attraverso alcuni articoli di Daniela Amenta sull’Unità. Cavaggion, diplomato al Conservatorio di Reggio Calabria e con una lunga esperienza nell'orchestra del Portogallo, ha un permesso di due ore del Comune per suonare a Roma in piazza San Simeone. Suona Bach; la musica è bellissima e il pubblico lo ascolta rapito. Un pomeriggio, invece che alle 16, ha iniziato a suonare alle 15,55: cinque minuti fatali, che hanno scatenato la solerzia di un Vigile che gli ha sanzionato una multa di 50 euro. (L’episodio fra l’altro si è ripetuto più di una volta). La notizia è stata colta da migliaia di lettori che hanno scritto al giornale indignati e a favore per questo maestro bravo e sensibile che, dopo tanti anni di studio e sacrificio, si guadagna il poco che può nelle strade di Roma.

Margot Sikabonyi ha letto alcuni brani tratti dal libro “Ferite a Morte” di Serena Dandini.
L’attrice, di padre ungherese e madre canadese, nota soprattutto per il ruolo di Maria Martini nella serie Un medico in famiglia, tra il 2007 e 2008 ha frequentato la Vancouver Film School dove ha girato i cortometraggi “Standing on One Leg”, per la regia di Andrei Moxham e “Warehouse Games” di Alejandro Montoya Marin. Si è impegnata in teatro “Le donne di Picasso” con Milena Vukotic per la regia di Terry D’Alfonso e “Aggiungi un posto a tavola” per la regia di Garinei e nella pièce “Costellazioni”, scritta dal giovane ed apprezzato drammaturgo londinese Nick Payne, per la regia di Silvio Peroni, con Alessandro Tiberi.

EDIZIONE 2014

XXXVI edizione

Sabato 6 settembre, alle ore 21, Fregene
La Giuria ha consegnato i riconoscimenti ai seguenti vincitori:

Divulgazione culturale:
NICOLA PIOVANI
“La musica è pericolosa” – Rizzoli

Giornalismo:
MASSIMO GRAMELLINI
“La magia di un Buongiorno” - Longanesi

Comunicazione televisiva:
PIF
“Il Testimone” - MTV

Giornalismo televisivo:
RICCARDO IACONA
“Presa diretta” – RAI 3

Narrativa:
LIDIA RAVERA
“Piangi pure” - Bompiani

 

COMUNICATI STAMPA


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